Questa prima parte della guida all’allenamento polarizzato si concentrerà sugli aspetti teorici. Insieme ne capiremo le origini ed i concetti base:
L’allenamento polarizzato è una novità degli ultimi anni nel mondo dell’allenamento del ciclismo. Deriva dall’analisi e dallo studio di atleti di alto livello e rappresenta un’opportunità anche per il ciclista amatoriale con ottimi risultati.
Sei pronto? Si parte!
Guida all’allenamento polarizzato – la genesi
Come tutte le grandi teorie che hanno offerto una nuova visione dell’allenamento, la genesi di questo modello vede il contributo di più scienziati.
Cosa hanno fatto di importante? Dall’osservazione della realtà, hanno iniziato a porsi delle domande.
L’allenamento polarizzato non nasce in laboratorio. La ricerca si è sviluppata dall’osservazione della metodologia di allenamento di atleti di alto livello.
Seiler, il padre del polarizzato
Seiler è un ricercatore americano, docente all’Università di Agder in Norvegia, può essere considerato il padre del modello polarizzato.
Studiando come si allenano gli atleti di alto livello, Seiler ha individuato alcuni aspetti ricorrenti nella distribuzione dell’intensità di sciatori e vogatori norvegesi.
I primi svolgevano il 75% dei loro allenamenti a bassa intensità, con un rapporto bassa/alta intensità di 75/25. I secondi si mantenevano su un rapporto 88/12.
Le sue ricerche trovarono conferma in quelle di Esteve-Lanao, allenatore e docente all’Università di Madrid. Questi osservò la distribuzione dell’intensità di alcuni tra i migliori atleti che seguiva, arrivando alle stesse conclusioni.
I due collaborarono confrontando gli esiti di programmi di allenamento con diverse distribuzioni delle intensità: 80/20, 65/35, 50/50. Miglioramenti del 7% arrivarono già sul breve-medio periodo dalla distribuzione 80/20.
Aldilà dei buoni risultati raggiunti con la sua applicazione, è importante sottolineare come il modello polarizzato sia trasversale a sport di endurance anche molto diversi tra loro.
La distribuzione 80/20 è rivolta all’ottimizzazione dell’allenamento sia a bassa, sia ad alta intensità.
Il mito dell’allenamento in zona Sweet Spot
Nell’allenamento polarizzato, il più grande errore che può fare un atleta è trascorrere troppo tempo a un’intensità moderata; l’obiettivo è ridurre al minimo l’allenamento ad intensità moderata.

Si tratta di una zona di lavoro più stressante della bassa intensità, ma con benefici inferiori rispetto all’alta intensità.
Con l’uscita di “Training and racing with a power meter” di Coggan e Allen, l’allenamento in zona sweet spot è diventato un mantra nel ciclismo. In cosa consiste?
Si tratta di intervalli di durata medio – lunga, tra i 10 ed i 60 minuti, in cui all’atleta svolge molto lavoro ad un’intensità di poco inferiore alla propria soglia. Ovviamente il riferimento era FTP.
In questa zona di intensità si ottiene il massimo nel rapporto sforzo/benefici, permettendo di aumentare la propria FTP in modo efficace nel tempo. Un esempio di allenamento? Il “famigerato” 2×20′.
Come vedremo, adottare il modello polarizzato non significa abbandonare del tutto l’allenamento ad intensità sweet – spot.
Guida all’allenamento polarizzato – la piramide
Per spiegare meglio il tema Seiler ha elaborato una piramide dell’allenamento di endurance, sul modello di quello dei bisogni umani elaborata da Maslow.
Ci concentreremo sugli aspetti più importanti che rappresentano la base della piramide.

Guida all’allenamento polarizzato – il volume
Negli sport di endurance il volume di allenamento è un elemento importante: più aumenta la distanza di gara, più la capacità di resistenza aerobica riveste un ruolo primario.
Un’analisi delle prestazioni di Bente Skari, campionessa norvegese di sci di fondo, ha confermato l’importanza del volume di allenamento.
Per chi non seguisse lo sci di fondo, Bente Skari è un’ex-fondista norvegese che nel suo palmares vanta 5 medaglie olimpiche, 5 ori mondiali e diverse coppe del mondo. Una che andava davvero forte.
Seiler ha studiato i suoi allenamenti negli anni di attività agonistica, riassumendo i dati in uno schema riassuntivo e mettendo in correlazione le ore totali di allenamento al valore Vo2max espresso nei test.

I valori migliori (~73-76ml/min/kg) si registrano nella fascia d’età 26-31, con un volume di allenamento di ~700 ore l’anno.
A volumi di allenamento inferiori, la differenza di Vo2max era quasi del 10%.
Facile pensare che ad un maggior volume di allenamento può corrispondere una miglior capacità di prestazione.
Fino ad ora ho scritto dell’élite: professionisti che nella vita “fanno solo quello”.
C’è campione e campione
Seiler ha messo a confronto gli allenamenti tra campioni di livello nazionale e mondiali, osservando:
- la distribuzione dell’intensità;
- il volume di allenamento;
Qual è il dato più importante che emerge? Il volume di allenamento differiva tra i due gruppi del 30%.
Qui si parla di campioni, di una piccola percentuale della popolazione. La maggior parte degli atleti compete a livello amatoriale, quindi stiamo parlando di un altro sport. Facciamo due conti per levarci il dubbio.
Un amatore può allenarsi tra le 6 alle 12 ore alla settimana, ciò significa un volume tra le 300 e 600 all’anno. Un professionista si allena circa 1200 ore l’anno.
Questo senza contare eventuali infortuni, malattie e problemi extra-ciclistici.
La grande domanda è: da amatore, cosa potrei fare? Il polarizzato è applicabile?
Il caso studio dei runners inglesi
Con quanto letto fino ad ora, la soluzione potrebbe sembrare semplice: meno miglioramenti ci sono, più ore si dovrebbero fare per migliorare la propria prestazione.
Uno studio interessante su runners amatoriali inglesi ha messo in luce alcuni aspetti interessanti.

In primo luogo ha eliminato alcuni limiti delle ricerche svolte su atleti di alto livello:
- campione ridotto a poche unità;
- misurazioni specifiche poco utilizzabili dall’atleta amatoriale;
- attrezzature e competenze di alto livello per l’analisi dei valori ottenuti.
Alla ricerca hanno partecipato più di 2000 atleti amatoriali, rendendo possibile lo studio di un modello predittivo della performance di gara basato sull’allenamento svolto.
Quello che emerge è che il volume di allenamento è un elemento fondamentale: all’aumentare della distanza percorsa nella settimana di allenamento, aumenta anche la performance.
Avere molto tempo non è sufficiente: il come lo si utilizza è un elemento altrettanto importante.
Guida all’allenamento polarizzato – l’intensità
Il secondo livello della piramide è legato all’allenamento ad alta intensità, sul quale diversi studi sono già stati compiuti.
La metodologia di allenamento HIIT (High Intensity Interval Training) non è una novità degli ultimi anni. Già nel 1920 il runner Paavo Nurmi si allenava con sessioni HIIT. Nel 1970 il ricercatore svedese Astrand iniziò ad approfondire il tema.
Noi siamo molto pratici: esiste un allenamento migliore di altri? Qual è la struttura ottimale di un HIIT? Una risposta esaustiva ed univoca ancora non c’è, ma si riesce a trarre indicazioni utili da alcune ricerche.
L’allenamento ottimale
Seiler ed il gruppo di ricerca hanno comparato i miglioramenti tra diversi piani di allenamento.
Sono stati formati 4 gruppi di ciclisti, ciascuno con il proprio programma. Ogni gruppo svolgeva allenamenti specifici oltre a 2/3 allenamenti a bassa intensità:
- 4×16’;
- 4×8’;
- 4×4’;
- solo allenamenti a bassa intensità, incrementando il volume di allenamento del 15-20% alla settimana.
Agli atleti non sono state indicate nel dettaglio le intensità, dovevano mantenere un’intensità sostenibile per tutta la durata dell’intervallo. E ripeterla.
Al termine di ogni sessione di allenamento, i partecipanti valutavano lo sforzo percepito (RPE) per ogni allenamento: il valore è stato simile in tutti e tre i gruppi.
Quale dei quattro gruppi ha raggiunto al termine del programma i maggiori miglioramenti? Sono stati confrontati i cambiamenti a livello di Vo2max, FTP e tempo di esaurimento all’80% di Vo2max.

Il gruppo che ha svolto allenamenti 4×8’, con un’intensità di poco superiore alla soglia, ha ottenuto miglioramenti significativi (8% rispetto al 3-4% degli altri gruppi su tutti i parametri).
Il caso studio dei fondisti norvegesi
Un altro studio ha riguardato giovani sciatori norvegesi. Dopo un periodo iniziale uguale per tutti di otto settimane, con allenamenti lunghi a bassa intensità, gli atleti sono stati suddivisi in tre gruppi:
- con intervalli lunghi: 2 volte la settimana al 91% della frequenza cardiaca massima. Intervalli di 5-10 minuti per un totale di 30-45 minuti ad alta intensità..
- con intervalli corti: 2 volte la settimana al 94% della frequenza cardiaca massima. Intervalli di 2-4 minuti per un totale di 15-20 minuti ad alta intensità
- di controllo con 2 allenamenti a bassa intensità.
Ai gruppi è stato chiesto di valutare lo sforzo percepito per ogni sessione di allenamento, ottenendo valori RPE simili tra loro.
A livello di analisi il gruppo che ha dato maggiori miglioramenti a livello di Vo2max e intensità di poco superiori alla soglia, è stato il gruppo che ha svolto intervalli più lunghi.
La stessa Bente Skari, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, ha mostrato nella sua carriera una percentuale significativa di allenamenti a questa intensità.
Questo suggerisce che allenamenti con durata significativa ad intensità di poco superiori alla soglia, abbiano un maggior ritorno in termini di miglioramento delle prestazioni di atleti.
Guida all’allenamento polarizzato – distribuzione delle intensità
La distribuzione delle intensità di allenamento è un elemento importante negli sport di endurance, che ha visto Seiler come pioniere in questo campo.
L’allenamento polarizzato si basa sulla divisione di tre zone di allenamento:

- Z1: al di sotto della prima soglia ventilatoria (< ~2mmol di lattato)
- Z3: al di sopra della seconda soglia ventilatoria (> ~4mmol di lattato)
- Z2: compresa tra le precedenti.
L’individuazione delle zone tramite lattato ha molti limiti, nonostante questo il punto di forza è la similarità tra definizione di seconda soglia ventilatoria ed il concetto di Critical Power.
Non sai come calcolare i tuoi valori di Critica Power – W Prime? Qui l’articolo <.
Come si riflette l’utilizzo di queste zone rispetto alle 7 canoniche individuate da Allen e Coggan?
Ora, per allenamento polarizzato si intende un allenamento che prevede una concentrazione degli allenamenti tra Z1 e Z3, con poco tempo dedicato ad allenamenti ad intensità moderata/Z2. Utilizzando le 7 zone ed FTP possiamo dire che Z3 + SS rappresenta la zona da evitare.
Un cambio di paradigma?
Da preparatore è curioso notare come l’allenamento secondo il modello di prestazione passi in secondo piano rispetto all’importanza di polarizzare adeguatamente il carico di lavoro.
Questo si ripercuote a livello di periodizzazione. Cos’hanno in comune il modello di periodizzazione tradizionale, inversa o a blocchi? La gestione del carico di allenamento.
Seiler ha mostrato come una programmazione impostata con metodo risponda ad alcuni criteri. Come? Ha reclutato 63 atleti divisi in 3 gruppi, ciascuno dei quali ha affrontato mesocicli di 4 settimane così impostati:
- 1° mesociclo 4×16 Z3, 2° mesociclo 4×8 Z4, 3° mesociclo 4×4 Z5.
- ha periodizzato in maniera inversa.
- ha svolto i diversi intervalli all’interno dello stesso mesociclo.
I risultati? Tutti e tre i gruppi hanno mostrato miglioramenti, senza particolari differenze.
Ci sono molti modi diversi per migliorare e il modo in cui si periodizza pare essere secondario.
Tuttavia è importante avere un programma di allenamento da seguire. Non è necessario essere vincolati a uno schema di periodizzazione fisso, ma è necessario un programma. Ci vuole metodo.
Guida all’allenamento polarizzato per atleti amatoriali
La grande domanda è: tutto ciò vale anche per gli amatori? Dalla mia esperienza la risposta è sì.
Non vi sono molte ricerche che approfondiscono il tema, perlomeno non quante dedicate a professionisti. Ne presento alcune.
Alcuni runners non professionisti sono stati divisi in due gruppi di allenamento:
- polarizzato con una distribuzione 80/10/10;
- soglia con una distribuzione 60/25/10.
In entrambi i gruppi è stato monitorato il carico di allenamento complessivo. I miglioramenti più significativi in gare di 10km sono stati ottenuti dal primo gruppo.
Un riscontro simile si è avuto dal confronto tra due gruppi di ciclisti amatoriali simili ai precedenti:
- polarizzato con una distribuzione 80/00/20;
- soglia con una distribuzione 57/43/00.
Oltre alla distribuzione, la seconda differenza era relativa al volume di allenamento: 381 minuti polarizzati contro i 458 minuti del gruppo soglia.
Sono stati confrontati i miglioramenti ottenuti tramite vari test in cui il gruppo che ha polarizzato ha mostrato miglioramenti più marcati. In particolare un miglioramento dell’8% in una prova a cronometro di 40km, rispetto al 4% del secondo gruppo.
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In sintesi
Il polarizzato non rappresenta la panacea di tutti i mali. Alcuni spunti da questa all’allenamento polarizzato:
- significa concentrarsi principalmente su attività in Z2 o superiori a Z4, tuttavia è necessario avere una solida base aerobica sulla quale inserire allenamenti più intensi.
- le evidenze scientifiche suggeriscono che è possibile applicarlo con successo anche a livello amatoriale
- la periodizzazione è secondaria, ma un programma di allenamento ben definito ed un metodo sono necessari.
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Tiziano
Bibliografia:
Vickers A., E. Vertosick (2016) An empirical study of race times in recreational endurance runners, BMC Sports Science, Medicine and Rehabilitation, 8:26
Seiler S (2010) What is best practice for training intensity and duration distribution in endurance athletes? Int J Sports Physiol Perform 5:276-291
Sandbakk Ø, Holmberg HC, Leirdal S, Ettema G. The Physiology of World Class Sprint Skiers. Scand J Med Sci Sports. 2011 Dec;21(6):e9 16
Seiler S., Seiler’s Hierarchy of Endurance Training Needs; European Endurance Conference, European Athletics Coaching Summit Series, Oslo, Norway, 2016
Esteve-Lanao J., Seiler S. et al., Impact of training intensity distribution on performance in endurance athletes. J Strength Cond Res. 2007 Aug;21(3):943-9.
Stoggl TL., Sperlich B., The training intensity distribution among well-trained and elite endurance athletes. Front Physiol. 2015; 6: 295.